martedì 2 marzo 2021

Migranti: La Rotta dei Balcani


Condizioni difficilissime quelle in cui si trovano centinaia di richiedenti asilo bloccati nel paesino della Bosnia-Ezegovina, Lipa, verso il confine con la Croazia. La situazione è ulteriormente peggiorata alla fine di dicembre dopo l’incendio del campo dove erano alloggiati: ora i circa 850 richiedenti asilo rimasti sono stati sistemati in tende di fortuna, mentre altri 900 circa vivono in condizioni simili in altre zone della regione. 
In teoria la “rotta balcanica”, che parte dalla Grecia e risale la penisola balcanica fino ad arrivare nei paesi dell’Europa occidentale, fu chiusa nel 2016, quando l’Unione Europea concluse un controverso accordo con la Turchia per impedire le partenze verso la Grecia. In pratica la rotta non si è mai chiusa, anche se dal milione di persone transitate nel 2015 si è passati a numeri assai più ridotti negli anni successivi, nell’ordine delle decine di migliaia all’anno. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), l’agenzia ONU che si occupa di migranti, soltanto nel 2020 sono stati registrati 39.648 migranti in Serbia e 16.150 in Bosnia-Erzegovina, i due paesi più interessati dalla rotta.
Nell’Unione Europea, va ricordato, esistono pochissime vie di ingresso legali per gli stranieri, e al momento sono scarsamente garantite anche per le persone che chiedono asilo.
Le persone arrivate in Bosnia, un paese che non fa parte del’Unione Europea, sono in piccola parte richiedenti asilo che sono riusciti ad arrivare in Grecia sfuggendo ai controlli delle autorità turche e greche; ma in gran parte sono persone in viaggio ormai da anni, e che fino a qualche mese fa erano nei campi per migranti sparsi nel paese, in attesa che la Grecia esaminasse le loro richieste di protezione. Negli ultimi tempi però il governo greco di centrodestra ha sospeso più volte l’accettazione delle richieste d’asilo avanzate dai nuovi arrivati, tagliato i fondi per l’accoglienza, osteggiato il lavoro delle ong e respinto illegalmente migliaia di migranti verso la Turchia.
La Bosnia-Erzegovina è uno stato molto povero e attraversato da anni da tensioni etniche che hanno portato a un frazionamento del governo centrale e delle amministrazioni locali, che non riescono a gestire in maniera efficace lo stato: figurarsi un’emergenza umanitaria.
Sebbene Lipa si trovi in una regione a maggioranza etnica musulmana, al momento la presidenza di turno della Bosnia-Erzegovina è nelle mani del presidente espresso dalla comunità serba, Milorad Dodik, che da mesi ripete che non ha intenzione di costruire campi per richiedenti asilo nelle regioni a maggioranza serba e che più in generale spetterebbe all’Unione Europea occuparsi della questione, dato che praticamente nessuna delle persone in arrivo dalla Grecia ha intenzione di fermarsi in territorio bosniaco.
L’Unione Europea però ha un approccio contraddittorio. Da un lato si è impegnata per migliorare le condizioni dei richiedenti asilo: dal 2018 al 2020 ha speso infatti circa 89 milioni di euro per il sistema di accoglienza in Bosnia-Erzegovina, la maggior parte dei quali – circa 75 milioni di euro – attraverso fondi all’OIM, che li ha investiti soprattutto nelle spese di manutenzione dei campi. Dall’altro lato però si aspetta che dei richiedenti asilo arrivati in territorio bosniaco si occupi la Bosnia, negando loro il diritto di chiedere protezione in Europa come previsto dai trattati europei. Né Frontex né la Commissione Europea hanno preso provvedimenti sulle violenze e gli abusi compiuti sistematicamente dalla polizia croata di confine nei confronti dei richiedenti asilo che cercano di lasciare la Bosnia.
Nel corso del 2020 migliaia di richiedenti asilo sono stati respinti illegalmente dalle autorità croate col tacito appoggio di quelle europee: fra di loro c’erano anche 800 minori, secondo una stima del Dansk Flygtningehjælp, una ong molto attiva in Bosnia. 

(FONTE https://www.ilpost.it/2021/02/07)

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