martedì 11 novembre 2025

DALLA PARTE DELLE VITTIME:

 Questa è la seconda storia che proponiamo.... Come sempre ricordiamo che a scriverla è stata Irene Vella, giornalista, che propone e diffonde queste storie di vite distrutte prima e sopraffatte poi...


"Mi chiamavo Manuela. Ero una fisioterapista, una madre, una collega che quella mattina aveva preso un caffè con le amiche e poi era andata a lavoro come sempre. Avevo un figlio che era il senso di tutto: la ragione per cui mi alzavo, la forza che mi fermava quando la paura cercava di farmi fuggire. Per due anni e mezzo la mia vita è stata un inferno fatto di messaggi vocali, di telefonate notturne, di insulti e di promesse di vendetta. Non erano soltanto parole: erano una gabbia che si andava chiudendo attorno a me. Lui mi scriveva: “La mia vita è un inferno, Manuela, ho solo uno scopo, e non te lo posso dire, ma tu stai giocando col fuoco, io sono una bomba a orologeria”. Mi diceva che avrebbe avuto “la sua rivincita”, che sarebbe stata “spaventosa”, che avrebbe fatto “come Hannibal Lecter”. Una volta ha detto chiaramente: “Ho quattro ore di registrazione a casa di voi due che parlate… con me non la passi, Manuela, ti faccio vedere io”. Ho risposto più volte con voce calma, cercando di tenerlo lontano per mio figlio: “Non ho nessuno, sei un pazzo, vai a farti curare… Ti supplico di non mandarmi più messaggi. Ti rendi conto cosa dici davanti al bambino? Voglio tranquillità per mio figlio”. Ma il terrore continuava, si insinuava nel quotidiano: nella strada, nell’auto, nei silenzi tra le suonerie del telefono. Non ho denunciato subito. Perché denunciare in quel momento, per me, significava esporsi ancora, significava mettere il bambino sotto i riflettori di un processo che ti obbliga a raccontare il peggio della tua vita. Perché avevo paura per lui, per me, per le conseguenze che quelle minacce potevano avere sulle persone che amo. Perché speravo ancora che smettesse, che il tempo sopisse la sua furia, che potessi ottenere quel “quieto vivere” che gli chiedevo con voce tremante nei messaggi. E invece la bomba è esplosa. Lo ha fatto il 4 luglio del 2024: una giornata qualunque per chi non sa, per chi non ha ascoltato, per chi non si è accorto del crescendo di paura. Io sono uscita dal lavoro, ho salutato il mio bambino: “Amore, adesso mamma viene a prenderti”. Ho provato a proteggermi, a correre, a nascondermi dietro a un’auto. Ho pregato che la fine fosse lontana. Non è stato così. Riascoltare oggi in aula gli audio che mi mandava, e sentire la stessa voce che dice “Te ne accorgerai, non immagini cosa posso farti… Ti sei scavata la fossa con le tue mani” non è solo dolore: è una lezione per tutti. Quegli audio non sono suoni isolati: sono prova di un percorso di persecuzione che nessuno ha saputo fermare in tempo. Questo post non è solo il mio racconto. È la voce di tutte quelle donne che hanno chiesto aiuto e che non sono state ascoltate abbastanza. È la voce di chi ha scelto la prudenza per proteggere i propri figli e ha pagato con la vita. È la voce di chi è stata messa in bilico tra denunciare e proteggere chi resta. Non voglio indignazione passiva. Voglio che chi legge capisca che il femminicidio non è un gesto improvviso di follia: è l’esito tragico di mesi, anni di controllo, di messaggi, di minacce reiterate. È il frutto avvelenato di una cultura che normalizza il possesso e che troppo spesso riduce la violenza a una “questione privata”. Chiedo giustizia per me, per mio figlio, per le mie amiche, per tutte le donne. Ma chiedo anche azione concreta: ascolto serio delle denunce, misure di prevenzione realmente efficaci, protezione immediata per chi denuncia, più attenzione dei vicini e della comunità quando sentono urla o minacce, percorsi di uscita che non lascino isolata la vittima. Se state leggendo, non voltate lo sguardo. Se una donna vicino a voi è impaurita, prendete sul serio le sue parole. Se sentite una minaccia, chiamate, segnate, aiutate. Non lasciamo che la storia di un’altra donna diventi la nostra apatia. Per mio figlio, per me, per tutte quelle che non ci sono più: ricordate. E agite.".

(Fonte Irene Vella)

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