martedì 7 marzo 2017

Bilancio Si, Bilancio No.... L'Italia dei Cachi...

COLD CASE: IL CASO BRIOSCHI

Marco Brioschi, il finanziere rampante, scomparve all’improvviso, alla fine di luglio del 1996, lasciando dietro di sé, una lunga lista di persone truffate, almeno trecento, che gli avevano affidato capitali, pare per 90 miliardi di lire. “La truffa era stata organizzata bene”, racconta una delle vittime, Pierluigi F., che desidera mantenere l’anonimato: “Io avevo investito 50 milioni che volevo incrementare per potermi comprare una casa, erano i miei risparmi”. In un elegante club torinese, era stato presentato da un amico a questo inquietante personaggio, che gli aveva illustrato delle sfavillanti possibilità di guadagno attraverso la sua finanziaria. Pierluigi continua: “Questo finanziere mi fu presentato da amici di vecchia data di cui avevo cieca fiducia. Infatti, quando io sono entrato nel circuito, questa finanziaria operava già da due o tre anni. Sono stato tratto in inganno da questo e dall’immagine che Brioschi esibiva, cioè, un’illustre quanto rassicurante parentela, totalmente inventata, grazie all’omonimia con l’illustre produttore di bibite. Vantava una laurea americana e la conoscenza del figlio del direttore della West Fargo, la banca americana che opera con la borsa di New York. In quel momento, tutto pareva interessante, ma non irreale. Inoltre, lui affermava e dimostrava di poter avere informazioni in tempo reale da Wall Street. Soprattutto, offriva un tasso d’interesse del 15% a 120 giorni. Mi fornirono anche il nome delle banche con cui operava, che confermarono che lui girava decine e decine di miliardi, con una giacenza media in conto dai 2 ai 5 miliardi”. Brioschi in quel periodo frequenta ambienti noti, dove si possono incontrare persone influenti e fare pubbliche relazioni, entra in affari con una nutrita schiera di professionisti dal nome prestigioso. “Un’ottima credenziale da esibire in altri ambienti, sempre rigorosamente di livello medio-alto”. Il meccanismo, però, con cui Brioschi operava non viene spiegato nel dettaglio agli investitori che devono fidarsi di lui: “Perché, diceva, che i suoi contatti americani volevano mantenere il più assoluto riserbo. I soldi transitavano alla West Fargo attraverso una banca monegasca. Lui diceva di operare direttamente in borsa, mediante il collegamento internet, da cui poteva verificare le fluttuazioni dei titoli e comprare e vendere in tempo reale. Mi chiese di firmare una procura per gestire il capitale che intendevo investire, e che in qualunque momento avessi deciso di recedere, mi avrebbe restituito tutto in otto giorni”. Ma nel mese di giugno del 1996, si profila l’ipotesi del falso in bilancio, e quando la finanza gli chiude gli uffici, Brioschi, prospetta l’acquisto di una Sim all’estero, con cui dovrebbe continuare ad operare. Pierluigi ricorda: “Ci eravamo sentiti rassicurati da questa sua dichiarazione anche perché esisteva una polizza per un ammontare di 15 miliardi, depositata da un notaio, con le copie delle procure”. Il broker aveva informazioni di mercato con anche un mese di anticipo, di cui dava dimostrazione certa, e aggiunge Pierluigi: “Si vantava delle sue conoscenze altolocate, fra avvocati, notai e politici, ma quanto ai nomi erano solo parole sue”.

In puntata molto di più...

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