martedì 13 giugno 2023

DALLA PARTE DELLE VITTIME: L'INFERMITA' MENTALE E LA SEMI-INFERMITA' MENTALE

Per infermità mentale o infermità di mente, in diritto, si intendono quei disturbi mentali che comportano l'alterazione di una o più funzioni psichiche e l'agito di una particolare manifestazione sintomatica. Assumono particolare valore in campo psicopatologico forense quando si esprimono come manifestazioni sintomatiche nell'atto criminale.




Sarà compito del consulente nominato dal giudice (uno psichiatra o uno psicologo con specifica formazione in ambito forense) valutare la possibile esistenza di un legame tra il disturbo mentale e l'atto commesso. Ciò permetterà di conferire o meno al reato, caratteristica di infermità.
In diritto penale, il concetto di infermità mentale è legato a quello di vizio (totale o parziale) di mente, al fine di rilevare o meno l'imputabilità del soggetto e quindi la sua "capacità di intendere e di volere" (art. 85 c.p.).Il vizio totale di mente si ha, ai sensi dell'art. 88 c.p., allorché colui che ha commesso il fatto era per infermità in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere. La conseguenza è la non punibilità dell'agente. In tal caso però il giudice potrà disporre la misura di sicurezza in REMS, ma solo ove accerti in concreto gli estremi della pericolosità sociale psichiatrica.
Il vizio parziale di mente si ha, in base all'art. 89 c.p., allorché colui che ha commesso il fatto era per infermità in tale stato di mente da scemare grandemente senza escludere la capacità di intendere e di volere. In tal caso il soggetto risponderà egualmente del reato commesso, ma la pena è diminuita.
In campo giuridico, solitamente, si tende ad escludere dalla categoria di infermità mentali:alcuni tratti e disturbi di personalità che compongono la struttura del soggetto, ossia il suo modo di essere nel mondo;
sindromi o disturbi psichici in stato di remissione o in assenza di evidenti segni psicopatologici;
disturbi che presentono una sintomatologia non chiara e dibattuta.
Sono, invece, ritenuti come possibili stati di infermità mentale e quindi come disturbi a cui è possibile applicare gli artt. 88 ("Vizio totale di mente") e 89 ("Vizio parziale di mente") del codice penale, i seguenti:evidenti manifestazioni acute di scompensi psicopatologici, solitamente di natura psicotica;
deterioramento cognitivo grave dovuto a un disturbo mentale di tipo organico;
stati schizofrenici che causano destrutturazione della personalità in modo evidente;
gravi disturbi di personalità che presentano rari, ma documentabili episodi di scompensi di tipo psicotico o borderline.
Tali categorie rappresentano comunque delle convenzioni, poiché non vi è un chiaro limite tra una condotta che può essere definita ancora "normale" e una "patologica", tranne estremi e rari casi.

La seminfermità mentale

L'art. 89 del codice penale dispone che, chi nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita.
E' questo il vizio parziale di mente che in caso di accertamento peritale e giudiziale, viene considerato alla stregua di una attenuante capace di diminuire la pena per il fatto commesso.
Il vizio parziale, non escludendo la imputabilità, importa soltanto una diminuzione di pena, in aggiunta alla quale si applica, normalmente, stante la sussistenza della cosiddetta "pericolosità sociale", una misura di sicurezza (art. 219 c.p.).
Chi, condannato per un reato, ne commette un altro, è recidivo ai fini ed agli effetti della legge penale.
La recidiva è considerata una circostanza aggravante.
La norma dell'art. 99 c.p. stabilisce, in linea generale l'aumento di un terzo della pena da infliggere a carico di chi, dopo essere condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro.
La norma poi prevede che la pena può essere aumentata anche fino alla metà se il reato commesso è della stessa specie di quello precedente, o anche se è commesso nei 5 anni dalla condanna precedente o durante o dopo l'esecuzione della pena.
Se concorrono due di queste circostanze l'aumento di pena può essere, addirittura, della metà.
Se poi il recidivo commette un altro delitto non colposo, l'aumento della pena è della metà, e può essere di due terzi se la recidiva è specifica o infraquinquennale o a pena eseguita.
Sulla scorta delle decisioni della Giurisprudenza costituzionale (sentenza 120 del 2017) e di legittimità, la applicazione in concreto della recidiva presuppone che il giudice verifichi se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore.

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