Paolo alla scrivania ancora sentiva il
fruscio della neve sotto gli sci. Quel lunedì mattina in ufficio c’era
parecchia agitazione e l’arrivo del collega in visita, aveva sollevato un certo
stupore. Non era mai successo in tanti anni. Paolo lo aveva introdotto in modo
sintetico. Poche parole per spiegare chi fosse quel bel ragazzo che la
segretaria mangiava con gli occhi. Loris li avrebbe aiutati in una fase
delicata del caso che seguiva Paolo. I collaboratori erano dubbiosi e non
mancarono i commenti. Qualcuno addirittura ipotizzò servizi segreti e che il
collega, fosse in realtà un agente di qualche intelligence.
Il lavoro era frenetico. Alcuni casi vennero chiusi, giusto in tempo per accettarne dei nuovi. Sviluppi poco importanti per i casi di Paolo, e notizie forti sulla scomparsa di Massimo.
Nella stanza di Paolo, c’erano anche Roberto
e Stefano. Sul caso di Massimo, Roberto aveva scovato informazioni che davano
un movente alla sua sparizione.
“Dal giorno del funerale del vostro amico, Massimo
ha condotto una specie di indagine personale. Ogni occasione era buona. Al
paese, a Torino, addirittura a Zurigo dove andava per incontri di lavoro. Aveva
saputo i nomi dei due fotografi. E li aveva rintracciati”,
“Cosaaaaaa?”, esclamarono Paolo e mister X,
che a momenti ci restarono,
“Simone Meridi è stato arrestato in Corea del
Nord, un anno fa, dove è detenuto in un carcere di massima sicurezza. Paolino
Lino, arrestato in Niger, è tuttora ospite delle galere locali”,
“Un
attimo. Con ordine. Perché questa sua indagine? Da chi l’hai saputo?”,
“Aveva una donna. E’ lei che me ne ha
parlato…”,
“Strano che Giuliana non mi abbia detto nulla…”,
“Non Giuliana. Un’altra. Margherita
Tomboli…”,
“Aveva un’amante? Una fissa voglio dire…”,
“Una storia importante. Da otto mesi e
nessuno lo sapeva. Mi spiego meglio. Prima di parlarne alla moglie voleva
essere certo dell’amore per Margherita”,
“Fin qui ci siamo. Ciascuno aveva la sua vita,
ma salvavano le apparenze. Come mai confidò a questa Margherita della sua
indagine personale?”,
“Perché lei poteva aiutarlo nelle ricerche. Lavora
al Ministero”,
“Quindi vive a Roma?”,
“Lo ha aiutato lei a rintracciare i
fotografi. Inoltre, tutte le informazioni che lui aveva raccolto le teneva lei.
Che me le ha date, per fartele avere. Che tu qualcosa già sapevi”,
“Perché stava indagando?”,
“Non lo sa. Per amicizia o forse sapeva
qualcosa che non avrebbe dovuto sapere”,
“Quando ha iniziato le ricerche?”,
“Subito. Questo è il fascicolo di
informazioni raccolte da Massimo”,
“Lo leggo dopo, con calma. Hai detto che
c’era dell’altro…”,
“Massimo aveva individuato una società
off-shore brasiliana, e tieniti forte, tra i capi, c’erano il fratello di
Bauer, a totale insaputa del fratello, un banchiere tedesco che vive alle Cayman,
e un banchiere italiano, il cui nome è qui. Leggilo!”,
“Cazzo! Questo è un intoccabile”,
“Già. Come vedi il movente per farlo
scomparire ci sarebbe eccome. Inoltre, c’era un quarto italiano. Uno che nei
suoi appunti descrive come il peggiore dei bastardi. Dice di conoscerlo e che
ormai è questione di poco e il suo nome salterà fuori. Ma tutte le piste che
portano a lui, per un motivo o per l’altro scompaiono, come inghiottite dalle
sabbie mobili. Pur non essendo così importante come l’altro italiano. Un vero
genio del male. Secondo Massimo è lui il cervello dell’organizzazione. E per
questo motivo è il più protetto. Finché non sarà identificato, la società
continuerà a vivere e guadagnare cifre impensabili”,
“Sapevo che non mi aveva detto tutto. Posso
capire. Ma perché esporsi così?”,
“Per procurarsi una polizza vita?…”, ipotizzò
mister X,
“Un ricatto, intendi?”, chiese Roberto,
“Da quello che hai raccontato sembra che per
sbaglio avesse sentito qualcosa e temesse ritorsioni. Quindi, l’unica arma di
salvezza era raccogliere più informazioni possibili sulla vicenda e usarle per
restare vivo. Per prudenza non ne parla alla moglie. Poteva parlarne con
qualcuno e arrivare a orecchie sbagliate. Così, decide di coinvolgere
Margherita. Di cui nessuno conosce l’esistenza. Nel caso in cui succeda
qualcosa, lei è al sicuro e le informazioni anche. Ma i cattivi, tutto questo
non lo sanno. Lo fanno sparire. Non è detto che lo abbiano ammazzato. Perché,
finora, i presunti morti, eccetto Marco, sembrano tutti ancora molto vivi. Lo
rapiscono per fargli dire cosa sa e chi ne è a conoscenza. Lui per salvarsi la
pelle cosa potrebbe fare? Dirgli delle prove che ha raccolto? Troppo rischioso.
E’ stato rapito da circa un mese e non se ne sa più niente. Questo non promette
niente di buono. Che fine ha fatto? E’ riuscito a scappare? Per far perdere le
tracce, si è arruolato nella legione straniera? Se così fosse, rimarrà nascosto
finché non si saranno messe a posto le cose. Oppure, qualcosa è andato storto,
e hanno dovuto farlo fuori, come con Marco. Una cosa è certa, questa gente non
ammazza volentieri. Preferiscono altri metodi. Un omicidio solleva troppo
casino e in questo caso qualcuno vedrebbe dei collegamenti, per la vecchia
amicizia fra i due”,
“Abbiamo fatto un bel salto in avanti”,
commentò Paolo,
“Non poteva fidarsi di nessuno. Perciò ha
indagato per conto suo. L’altro italiano è fra i vostri amici. C’è il punto
interrogativo su tre nomi. Il tuo…”,
“Il miooooo?”, urlò Paolo incredulo,
“Tu, Alberto e Luca. Non sapeva chi. Però
tutti e tre ruotavate attorno alla Nivica. Il più sospettato è Alberto. Che va
spesso in Brasile. A seguire Luca e tu, in egual misura..”,
“Non capisco perché sospettasse di me.
Soprattutto, dopo esserci incontrati”,
“Annotava tutto cronologicamente. Strano non
abbia scritto della cena”, continuò Roberto,
“A quale data si fermano quegli appunti?”,
“Al 30 ottobre. Perché?”,
“Perché ci siamo incontrati il 31. Durante la
cena abbiamo parlato a lungo. Mi aveva detto di avere dubbi su di me. Quando ci
siamo salutati, mi ha dato la mano e chiesto se eravamo ancora amici. Non
credo, che dopo diffidasse ancora di me”,
Continuarono a valutare i fatti. Focalizzarono
un particolare forse irrilevante.
“Ma che differenza fa se dopo il 30 non ha
più scritto nulla?”, disse Roberto,
“Che non aggiornava quotidianamente gli
appunti”, aggiunse Stefano,
“Non sembra sia come dici tu. Guarda queste
pagine. ‘20 agosto. Quegli uomini sono
più pericolosi di quanto credessi. Da
ciò che ho sentito sono certo che la morte di Marco fosse stata premeditata.
Individuare eventuali suoi colleghi’. Una diario che continua
cronologicamente giorno per giorno, per scrivere anche banalità come questa ‘22 settembre. Cena di commemorazione per
Marco. Incontro con i vecchi amici. Tranne Roberta, Angela, Elisa e Giuditta,
per ovvi motivi. Loredana e Luca sono amanti. Alberto disprezza entrambe. Non
per gelosia. Credo per mancanza di valori morali ’. E così via. Giorno dopo
giorno scriveva tutto. Non credo annotasse informazioni e pensieri di quando in
quando. E’ più logico pensare che fosse un’attività quotidiana per non scartare
dettagli che lì per lì non dicevano nulla, ma in un secondo momento…”, disse
Loris,
“Allora, perché dal 31 ottobre non ha più
scritto nulla?”, domandò Paolo,
“Potrebbe aver usato un altro taccuino?”,
chiese Roberto,
“E che fine ha fatto?”, disse Loris,
“Cerchiamo cassette di sicurezza, depositi e
affini. Datti da fare Roberto”, disse Paolo,
“Ok, boss. Mi attivo subito”,
“Sulla questione brasiliana cosa abbiamo di
nuovo?. La società off-shore?”, chiese a Stefano,
“Poco, ma interessante. I quattro soci
importanti, li chiameremo i soci A, hanno utilizzato dei nomi fittizi. Per cui
quando sono usciti dalla società, sono spariti. Se ne hanno aperta un’altra, o
altre, lo hanno fatto utilizzando nomi diversi. Non esiste alcun collegamento fra
loro e i tre europei di cui conosciamo i nomi. Nessuna legge del mondo, neppure
la più restrittiva potrebbe condannare quei quattro. Anzi se qualcuno
ipotizzasse cose o sporgesse denuncia, oltre a non dimostrare nulla,
rischierebbe una denuncia per diffamazione. Questo dice due cose. Il tuo amico
non poteva scrivere una riga su di loro. E loro lo sapevano. Perché ammazzare qualcuno
che non ti può nuocere e sollevare un gran
casino?”,
“Già. Perché?”,
“Leggendo e rileggendo mi sono fatto un’idea.
Il giornalista aveva le mani legate. Non aveva prove, avrà deciso di esporsi e
rischiare per trovare qualcosa che gli permettesse di accendere i riflettori
sulla questione. Vale a dire, se non si può parlare delle società off-shore,
parliamo dei soci minori, che chiameremo soci B. Capisci cosa intendo?”, spiegò
Stefano,
“Più o meno. Vai avanti”, si incuriosì Paolo,
“Non potendo contestare nulla ai soci A,
Marco deve aver puntato sui soci B, cercando qualche scheletro nell’armadio di
uno dei quattro pesci piccoli. Non dimentichiamo che tra loro c’è anche un
politico. Qualcosa di sicuro avrà trovato. E loro lo avranno scoperto. Quindi, ne
parlano con i soci A e decidono di chiudergli la bocca”,
“Ma un omicidio scatena dell’interesse
sicuramente sgradito. Perché ucciderlo?”, disse Loris,
“Ho capito. Noi conosciamo i nomi di tre dei
quattro soci A. Manca quello del secondo italiano. Collegamenti fra i tre e la
società off-shore?”, disse Paolo,
“Ci possiamo provare. Ma dovremo uscire dalle
regole”,
“Sono informazioni che utilizzeremo solo noi.
Per sapere con chi abbiamo a che fare. Inoltre, dovresti trovare, sui tre identificati,
tutto il possibile, anche dettagli insignificanti”,
“Chi mi può aiutare in questo?”, disse
Stefano mentre usciva,
“Federico e Gianfranco, ma dì loro il minimo
indispensabile. Ci siamo capiti?”.
Paolo e Loris rimasero a parlare dei casi per
tutta la mattina. Uscirono a pranzo e tornarono in ufficio per discutere ancora
la questione brasiliana.
“Te lo do per certo. L’ipotesi di Stefano è
attendibile, ma non è”, disse Loris,
“Non è detto che i soci B lo sapessero.
Oppure, più semplicemente hanno pensato….”, Paolo si interruppe e scoppiò a
ridere come un pazzo,
“Hai capito?”,
“Ho capito”,
“Arrivi sempre con l’ultimo treno, eh?”,
“Ma vaffanculo”, disse Paolo continuando a
ridere,
“Dobbiamo sapere cosa ha scoperto la polizia
brasiliana. O se hanno già archiviato tutto”,
“Chi ha inviato l’anello con la testa di
toro?”,
“Già”, disse con rabbia Loris.
Durante la settimana, Paolo si dedicò poco
alla questione Nivica, fece soltanto un paio di telefonate, una al ricettatore
di Zurigo e l’altra a Zimmer, per avvertirlo che non avrebbe partecipato alla
riunione di fine anno, come stabilito. Non c’erano grosse novità, ma dai
sospettati potevano escludere la concorrenza, che stava sgomitando come pochi
per scoprire chi avesse rubato la formula e comprarla. Mentre Paolo si
affannava sui suoi casi, Loris ne approfittò per passeggiare in Torino.
Girovagò da solo, cercando di attutire l’intensità di ricordi che riaffioravano
alla sua mente vivi più che mai. Rientrò da Paolo con l’anima dolorante, per i
lividi che il tempo non aveva curato. Fu il motivo che lo spinse a telefonarmi.
Appena tornata dall’ultimo giorno parigino ero un po’ malinconica, quando il
telefono squillò.
“Ciao.
Sono Loris”, disse con la sua voce dolce,
“Ciao…”,
“Mi sto godendo una vacanza fantastica. Lo
scorso week-end siamo andati a sciare. Poi, ho passeggiato per buona parte del
tempo. Domani pomeriggio hai impegni?”,
“Ci sono”,
“Se passo verso le tre?”,
“Ti do l’indirizzo…A domani”.
Puntuale, alle tre suonava il campanello, e
io mi sentivo elettrizzata come un’adolescente al primo appuntamento. Alla luce
del giorno, non potei fare a meno di notare quanto fosse bello. Sentii un tuffo
al cuore. Mi sembrò stupido palpitare in quel modo. Era chiaro, gli piacevo e voleva
giusto portarmi a letto. Che altro sennò? Quando hai passato abbondantemente i
trenta è difficile che un uomo voglia soltanto guardarti negli occhi. Uno come
lui, poi! Devo ammettere che era la stessa cosa che volevo anch’io. Mi salutò,
sfiorandomi la guancia con un bacio caldo, sentii i brividi sulla schiena. Rimasi
quasi paralizzata e non ricambiai.
“Un po’ freddino come saluto”, disse
dolcemente,
“Rimedio subito”, dissi baciandolo con slancio,
“Dove andiamo?”,
“Dove vuoi. Sei tu che manchi da tempo”,
“In centro. Poi passeggiamo a piedi, se ti
va”.
Via Po quel venerdì era affollatissima.
D’altronde al 23 dicembre, c’è il mondo nelle vie del centro per gli ultimi
regali, il vestito di Natale, l’addobbo dell’albero che doveva arrivare
quindici giorni prima, ma un ritardo nelle consegne aveva fatto slittare
all’ultimo minuto. Io e lui tra la folla, camminavamo tenendoci per mano. Cercavamo
di scoprire i gusti dell’altro. Strano, i suoi li conoscevo. Come se lo
conoscessi da sempre. Cercai di non pensare a Marco.
“Stai pensando a lui, vero?”,
“No”, mentii senza essere credibile,
“Perché non provi a parlarne”,
“Scusa, ma preferisco di no”,
“Tirar fuori i rospi, fa bene…”,
“Come non fai tu?”,
“Proprio così”.
Il presepe di via Po con le statuette che si
muovono ci aveva affascinati come due ragazzetti. Mentre le nostre emozioni
viaggiando all’unisono ci inchiodavano lì davanti.
Uscimmo dalla chiesa, dopo non so quanto
tempo, e continuammo a camminare mano nella mano. Lui mi guardava e sorrideva. Scherzavamo.
E ridevamo. Così tanto da spazzare via tristezza e nostalgia per attimi abbondanti.
A fine pomeriggio, mi portò nel caffè dietro al duomo. Il Bicerin. Fanno una
bevanda a base di caffè e cioccolata, buonissima. E’ un locale piccolo, con la
porta di legno, sa della Torino dei Carbonari. I pochi tavoli sempre occupati. L’unico
libero era nell’angolo e andava bene per il bicerin con i pasticcini fatti a
mano con la stessa ricetta da più di un secolo.
Una di fronte all’altro, le guance rosse per
il freddo, prese le mie mani nelle sue per scaldarle.
“Hai delle belle mani. Da pianista. Dita
lunghe e affusolate”,
“Sono una pianista mancata. Quando ero
adolescente studiavo pianoforte. Ma odiavo passare i pomeriggi a suonare,
anziché con gli amici”,
“Lo dici con rabbia. Perché?”,
“Ripensare a quegli anni mi fa male”,
“E’ sempre per via di quel ragazzo?”,
“Tante cose”.
Restammo in silenzio. Guardandolo vidi nei
suoi occhi una grande tristezza. “I ricordi. Spesso sono quelli a distruggerti
la vita”,
“Una donna?”, chiesi,
“L’unica che abbia amato. Le cose potevano
andare in tanti modi. Ma sono andate in quello peggiore. Ho visto altri, prima
o poi, farsene una ragione. A distanza di anni io non ci riesco”,
“Prima hai detto che c’è sempre
un’alternativa. Per te non vale?”,
“Eccome. Tutto sta ad accettarne le
conseguenze”,
“Non ti seguo”,
“Essere qui a Torino, mi sta destabilizzando.
Tutto quello che credevo di aver superato è ancora lì. Non è cambiato niente. Vorrei..”,
“L’hai rivista? In questi giorni?”,
“Si”,
“Beato te. Io Marco non lo rivedrò più”,
“Se lo avessi rivisto, cosa gli avresti detto?”,
“Che importa ormai...”,
“Se tu
parlassi con lei, cosa le diresti?”,
“Che non l’ho mai dimenticata. E …”,
“Perché
non parli con lei?”,
“Ora basta con il passato…”,
“E se nel frattempo ti innamorassi di me?”,
non so nemmeno io come uscì quella domanda,
“E tu di me?”,
In silenzio, rimanemmo a lungo occhi negli
occhi. Innamorati lo eravamo già.
Fuori dal caffè era buio e l’aria si era
fatta più fredda. Il termometro era sceso sotto lo zero. Zaffate fredde ci
colpivano il viso mentre camminavamo vicini nelle strade strette del centro
storico fiaccole e lumini sui marciapiede avevano trasformato nella via per
Betlemme.
Mi cinse le spalle e delicatamente mi
strinse. Lo strinsi alla vita. Forte. Lui era la mia seconda occasione. Non
l’avrei sprecata. Il ricordo di Marco si attenuò, fino a sfocare. Rimanemmo
allacciati senza parlare fino alla macchina. Mi propose di cenare insieme in un
piccolo ristorante, con cucina tradizionale piemontese. Non dissi che lì ci
andavo con Marco e lui aveva smesso di pensare a lei. A tratti mi sentivo
felice. Volevo che quella serata non finisse mai. Sotto casa mia, scese
dall’auto per salutarmi. Lo invitai a salire, ma rifiutò. Mi abbracciò e le
bocche quasi si sfiorarono, si scostò e mi baciò sulla guancia. Lasciandomi
sconcertata.
Il sonno latitava. Presi un libro, leggevo la
prima riga e lo chiudevo. Pensavo a lui. Mi chiedevo se anche lui stesse
pensando a me. Mi avvicinai alla finestra. Avevo le vertigini. Tirai su la
tapparella e rimasi a guardare la notte. Le stelle che prima riempivano il
cielo ora erano appannate dalle nuvole, le luci della città erano smorzate, lo
smog sovrastava la città come un’aureola di fango. L’ansia mi divorava. Mi
sforzai di non cedere al sonnifero e allo cherry. Rimasi alla finestra finché
il cielo cambiò colore. Il blu intenso sbiadiva. Era l’alba.
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