giovedì 2 gennaio 2025

2 GENNAIO 2025

 

Paolo alla scrivania ancora sentiva il fruscio della neve sotto gli sci. Quel lunedì mattina in ufficio c’era parecchia agitazione e l’arrivo del collega in visita, aveva sollevato un certo stupore. Non era mai successo in tanti anni. Paolo lo aveva introdotto in modo sintetico. Poche parole per spiegare chi fosse quel bel ragazzo che la segretaria mangiava con gli occhi. Loris li avrebbe aiutati in una fase delicata del caso che seguiva Paolo. I collaboratori erano dubbiosi e non mancarono i commenti. Qualcuno addirittura ipotizzò servizi segreti e che il collega, fosse in realtà un agente di qualche intelligence.


Sons of Anarchy - The Sound of Silence

Il lavoro era frenetico. Alcuni casi vennero chiusi, giusto in tempo per accettarne dei nuovi. Sviluppi poco importanti per i casi di Paolo, e notizie forti sulla scomparsa di Massimo.

Nella stanza di Paolo, c’erano anche Roberto e Stefano. Sul caso di Massimo, Roberto aveva scovato informazioni che davano un movente alla sua sparizione.

“Dal giorno del funerale del vostro amico, Massimo ha condotto una specie di indagine personale. Ogni occasione era buona. Al paese, a Torino, addirittura a Zurigo dove andava per incontri di lavoro. Aveva saputo i nomi dei due fotografi. E li aveva rintracciati”,

“Cosaaaaaa?”, esclamarono Paolo e mister X, che a momenti ci restarono,

“Simone Meridi è stato arrestato in Corea del Nord, un anno fa, dove è detenuto in un carcere di massima sicurezza. Paolino Lino, arrestato in Niger, è tuttora ospite delle galere locali”,

 “Un attimo. Con ordine. Perché questa sua indagine? Da chi l’hai saputo?”,

“Aveva una donna. E’ lei che me ne ha parlato…”,

“Strano che Giuliana non mi abbia detto nulla…”,

“Non Giuliana. Un’altra. Margherita Tomboli…”,

“Aveva un’amante? Una fissa voglio dire…”,

“Una storia importante. Da otto mesi e nessuno lo sapeva. Mi spiego meglio. Prima di parlarne alla moglie voleva essere certo dell’amore per Margherita”,

“Fin qui ci siamo. Ciascuno aveva la sua vita, ma salvavano le apparenze. Come mai confidò a questa Margherita della sua indagine personale?”,

“Perché lei poteva aiutarlo nelle ricerche. Lavora al Ministero”,

“Quindi vive a Roma?”,

“Lo ha aiutato lei a rintracciare i fotografi. Inoltre, tutte le informazioni che lui aveva raccolto le teneva lei. Che me le ha date, per fartele avere. Che tu qualcosa già sapevi”,

“Perché stava indagando?”,

“Non lo sa. Per amicizia o forse sapeva qualcosa che non avrebbe dovuto sapere”,

“Quando ha iniziato le ricerche?”,

“Subito. Questo è il fascicolo di informazioni raccolte da Massimo”,

“Lo leggo dopo, con calma. Hai detto che c’era dell’altro…”,

“Massimo aveva individuato una società off-shore brasiliana, e tieniti forte, tra i capi, c’erano il fratello di Bauer, a totale insaputa del fratello, un banchiere tedesco che vive alle Cayman, e un banchiere italiano, il cui nome è qui. Leggilo!”,

“Cazzo! Questo è un intoccabile”,

“Già. Come vedi il movente per farlo scomparire ci sarebbe eccome. Inoltre, c’era un quarto italiano. Uno che nei suoi appunti descrive come il peggiore dei bastardi. Dice di conoscerlo e che ormai è questione di poco e il suo nome salterà fuori. Ma tutte le piste che portano a lui, per un motivo o per l’altro scompaiono, come inghiottite dalle sabbie mobili. Pur non essendo così importante come l’altro italiano. Un vero genio del male. Secondo Massimo è lui il cervello dell’organizzazione. E per questo motivo è il più protetto. Finché non sarà identificato, la società continuerà a vivere e guadagnare cifre impensabili”,

“Sapevo che non mi aveva detto tutto. Posso capire. Ma perché esporsi così?”,

“Per procurarsi una polizza vita?…”, ipotizzò mister X,

“Un ricatto, intendi?”, chiese Roberto,

“Da quello che hai raccontato sembra che per sbaglio avesse sentito qualcosa e temesse ritorsioni. Quindi, l’unica arma di salvezza era raccogliere più informazioni possibili sulla vicenda e usarle per restare vivo. Per prudenza non ne parla alla moglie. Poteva parlarne con qualcuno e arrivare a orecchie sbagliate. Così, decide di coinvolgere Margherita. Di cui nessuno conosce l’esistenza. Nel caso in cui succeda qualcosa, lei è al sicuro e le informazioni anche. Ma i cattivi, tutto questo non lo sanno. Lo fanno sparire. Non è detto che lo abbiano ammazzato. Perché, finora, i presunti morti, eccetto Marco, sembrano tutti ancora molto vivi. Lo rapiscono per fargli dire cosa sa e chi ne è a conoscenza. Lui per salvarsi la pelle cosa potrebbe fare? Dirgli delle prove che ha raccolto? Troppo rischioso. E’ stato rapito da circa un mese e non se ne sa più niente. Questo non promette niente di buono. Che fine ha fatto? E’ riuscito a scappare? Per far perdere le tracce, si è arruolato nella legione straniera? Se così fosse, rimarrà nascosto finché non si saranno messe a posto le cose. Oppure, qualcosa è andato storto, e hanno dovuto farlo fuori, come con Marco. Una cosa è certa, questa gente non ammazza volentieri. Preferiscono altri metodi. Un omicidio solleva troppo casino e in questo caso qualcuno vedrebbe dei collegamenti, per la vecchia amicizia fra i due”,

“Abbiamo fatto un bel salto in avanti”, commentò Paolo,

“Non poteva fidarsi di nessuno. Perciò ha indagato per conto suo. L’altro italiano è fra i vostri amici. C’è il punto interrogativo su tre nomi. Il tuo…”,

“Il miooooo?”, urlò Paolo incredulo,

“Tu, Alberto e Luca. Non sapeva chi. Però tutti e tre ruotavate attorno alla Nivica. Il più sospettato è Alberto. Che va spesso in Brasile. A seguire Luca e tu, in egual misura..”,

“Non capisco perché sospettasse di me. Soprattutto, dopo esserci incontrati”,

“Annotava tutto cronologicamente. Strano non abbia scritto della cena”, continuò Roberto,

“A quale data si fermano quegli appunti?”,

“Al 30 ottobre. Perché?”,

“Perché ci siamo incontrati il 31. Durante la cena abbiamo parlato a lungo. Mi aveva detto di avere dubbi su di me. Quando ci siamo salutati, mi ha dato la mano e chiesto se eravamo ancora amici. Non credo, che dopo diffidasse ancora di me”,

Continuarono a valutare i fatti. Focalizzarono un particolare forse irrilevante.

“Ma che differenza fa se dopo il 30 non ha più scritto nulla?”, disse Roberto,

“Che non aggiornava quotidianamente gli appunti”, aggiunse Stefano,

“Non sembra sia come dici tu. Guarda queste pagine. ‘20 agosto. Quegli uomini sono più pericolosi  di quanto credessi. Da ciò che ho sentito sono certo che la morte di Marco fosse stata premeditata. Individuare eventuali suoi colleghi’. Una diario che continua cronologicamente giorno per giorno, per scrivere anche banalità come questa ‘22 settembre. Cena di commemorazione per Marco. Incontro con i vecchi amici. Tranne Roberta, Angela, Elisa e Giuditta, per ovvi motivi. Loredana e Luca sono amanti. Alberto disprezza entrambe. Non per gelosia. Credo per mancanza di valori morali ’. E così via. Giorno dopo giorno scriveva tutto. Non credo annotasse informazioni e pensieri di quando in quando. E’ più logico pensare che fosse un’attività quotidiana per non scartare dettagli che lì per lì non dicevano nulla, ma in un secondo momento…”, disse Loris,

“Allora, perché dal 31 ottobre non ha più scritto nulla?”, domandò Paolo,

“Potrebbe aver usato un altro taccuino?”, chiese Roberto,

“E che fine ha fatto?”, disse Loris,

“Cerchiamo cassette di sicurezza, depositi e affini. Datti da fare Roberto”, disse Paolo,

“Ok, boss. Mi attivo subito”,

“Sulla questione brasiliana cosa abbiamo di nuovo?. La società off-shore?”, chiese a Stefano,

“Poco, ma interessante. I quattro soci importanti, li chiameremo i soci A, hanno utilizzato dei nomi fittizi. Per cui quando sono usciti dalla società, sono spariti. Se ne hanno aperta un’altra, o altre, lo hanno fatto utilizzando nomi diversi. Non esiste alcun collegamento fra loro e i tre europei di cui conosciamo i nomi. Nessuna legge del mondo, neppure la più restrittiva potrebbe condannare quei quattro. Anzi se qualcuno ipotizzasse cose o sporgesse denuncia, oltre a non dimostrare nulla, rischierebbe una denuncia per diffamazione. Questo dice due cose. Il tuo amico non poteva scrivere una riga su di loro. E loro lo sapevano. Perché ammazzare qualcuno che non ti può nuocere e sollevare un gran  casino?”,

“Già. Perché?”,

“Leggendo e rileggendo mi sono fatto un’idea. Il giornalista aveva le mani legate. Non aveva prove, avrà deciso di esporsi e rischiare per trovare qualcosa che gli permettesse di accendere i riflettori sulla questione. Vale a dire, se non si può parlare delle società off-shore, parliamo dei soci minori, che chiameremo soci B. Capisci cosa intendo?”, spiegò Stefano,

“Più o meno. Vai avanti”, si incuriosì Paolo,

“Non potendo contestare nulla ai soci A, Marco deve aver puntato sui soci B, cercando qualche scheletro nell’armadio di uno dei quattro pesci piccoli. Non dimentichiamo che tra loro c’è anche un politico. Qualcosa di sicuro avrà trovato. E loro lo avranno scoperto. Quindi, ne parlano con i soci A e decidono di chiudergli la bocca”,

“Ma un omicidio scatena dell’interesse sicuramente sgradito. Perché ucciderlo?”, disse Loris,

“Ho capito. Noi conosciamo i nomi di tre dei quattro soci A. Manca quello del secondo italiano. Collegamenti fra i tre e la società off-shore?”, disse Paolo,

“Ci possiamo provare. Ma dovremo uscire dalle regole”,

“Sono informazioni che utilizzeremo solo noi. Per sapere con chi abbiamo a che fare. Inoltre, dovresti trovare, sui tre identificati, tutto il possibile, anche dettagli insignificanti”,

“Chi mi può aiutare in questo?”, disse Stefano mentre usciva,

“Federico e Gianfranco, ma dì loro il minimo indispensabile. Ci siamo capiti?”.

Paolo e Loris rimasero a parlare dei casi per tutta la mattina. Uscirono a pranzo e tornarono in ufficio per discutere ancora la questione brasiliana.

“Te lo do per certo. L’ipotesi di Stefano è attendibile, ma non è”, disse Loris,

“Non è detto che i soci B lo sapessero. Oppure, più semplicemente hanno pensato….”, Paolo si interruppe e scoppiò a ridere come un pazzo,

“Hai capito?”,

“Ho capito”,

“Arrivi sempre con l’ultimo treno, eh?”,

“Ma vaffanculo”, disse Paolo continuando a ridere,

“Dobbiamo sapere cosa ha scoperto la polizia brasiliana. O se hanno già archiviato tutto”,

“Chi ha inviato l’anello con la testa di toro?”,

“Già”, disse con rabbia Loris.

Durante la settimana, Paolo si dedicò poco alla questione Nivica, fece soltanto un paio di telefonate, una al ricettatore di Zurigo e l’altra a Zimmer, per avvertirlo che non avrebbe partecipato alla riunione di fine anno, come stabilito. Non c’erano grosse novità, ma dai sospettati potevano escludere la concorrenza, che stava sgomitando come pochi per scoprire chi avesse rubato la formula e comprarla. Mentre Paolo si affannava sui suoi casi, Loris ne approfittò per passeggiare in Torino. Girovagò da solo, cercando di attutire l’intensità di ricordi che riaffioravano alla sua mente vivi più che mai. Rientrò da Paolo con l’anima dolorante, per i lividi che il tempo non aveva curato. Fu il motivo che lo spinse a telefonarmi. Appena tornata dall’ultimo giorno parigino ero un po’ malinconica, quando il telefono squillò.

“Ciao.  Sono Loris”, disse con la sua voce dolce,

“Ciao…”,

“Mi sto godendo una vacanza fantastica. Lo scorso week-end siamo andati a sciare. Poi, ho passeggiato per buona parte del tempo. Domani pomeriggio hai impegni?”,

“Ci sono”,

“Se passo verso le tre?”,

“Ti do l’indirizzo…A domani”.

Puntuale, alle tre suonava il campanello, e io mi sentivo elettrizzata come un’adolescente al primo appuntamento. Alla luce del giorno, non potei fare a meno di notare quanto fosse bello. Sentii un tuffo al cuore. Mi sembrò stupido palpitare in quel modo. Era chiaro, gli piacevo e voleva giusto portarmi a letto. Che altro sennò? Quando hai passato abbondantemente i trenta è difficile che un uomo voglia soltanto guardarti negli occhi. Uno come lui, poi! Devo ammettere che era la stessa cosa che volevo anch’io. Mi salutò, sfiorandomi la guancia con un bacio caldo, sentii i brividi sulla schiena. Rimasi quasi paralizzata e non ricambiai.

“Un po’ freddino come saluto”, disse dolcemente,

“Rimedio subito”, dissi baciandolo con slancio,

“Dove andiamo?”,

“Dove vuoi. Sei tu che manchi da tempo”,

“In centro. Poi passeggiamo a piedi, se ti va”.

Via Po quel venerdì era affollatissima. D’altronde al 23 dicembre, c’è il mondo nelle vie del centro per gli ultimi regali, il vestito di Natale, l’addobbo dell’albero che doveva arrivare quindici giorni prima, ma un ritardo nelle consegne aveva fatto slittare all’ultimo minuto. Io e lui tra la folla, camminavamo tenendoci per mano. Cercavamo di scoprire i gusti dell’altro. Strano, i suoi li conoscevo. Come se lo conoscessi da sempre. Cercai di non pensare a Marco.

“Stai pensando a lui, vero?”,

“No”, mentii senza essere credibile,

“Perché non provi a parlarne”,

“Scusa, ma preferisco di no”,

“Tirar fuori i rospi, fa bene…”,

“Come non fai tu?”,

“Proprio così”.

Il presepe di via Po con le statuette che si muovono ci aveva affascinati come due ragazzetti. Mentre le nostre emozioni viaggiando all’unisono ci inchiodavano lì davanti.

Uscimmo dalla chiesa, dopo non so quanto tempo, e continuammo a camminare mano nella mano. Lui mi guardava e sorrideva. Scherzavamo. E ridevamo. Così tanto da spazzare via tristezza e nostalgia per attimi abbondanti. A fine pomeriggio, mi portò nel caffè dietro al duomo. Il Bicerin. Fanno una bevanda a base di caffè e cioccolata, buonissima. E’ un locale piccolo, con la porta di legno, sa della Torino dei Carbonari. I pochi tavoli sempre occupati. L’unico libero era nell’angolo e andava bene per il bicerin con i pasticcini fatti a mano con la stessa ricetta da più di un secolo.

Una di fronte all’altro, le guance rosse per il freddo, prese le mie mani nelle sue per scaldarle.

“Hai delle belle mani. Da pianista. Dita lunghe e affusolate”,

“Sono una pianista mancata. Quando ero adolescente studiavo pianoforte. Ma odiavo passare i pomeriggi a suonare, anziché con gli amici”,

“Lo dici con rabbia. Perché?”,

“Ripensare a quegli anni mi fa male”,

“E’ sempre per via di quel ragazzo?”,

“Tante cose”.

Restammo in silenzio. Guardandolo vidi nei suoi occhi una grande tristezza. “I ricordi. Spesso sono quelli a distruggerti la vita”,

“Una donna?”, chiesi,

“L’unica che abbia amato. Le cose potevano andare in tanti modi. Ma sono andate in quello peggiore. Ho visto altri, prima o poi, farsene una ragione. A distanza di anni io non ci riesco”,

“Prima hai detto che c’è sempre un’alternativa. Per te non vale?”,

“Eccome. Tutto sta ad accettarne le conseguenze”,

“Non ti seguo”,

“Essere qui a Torino, mi sta destabilizzando. Tutto quello che credevo di aver superato è ancora lì. Non è cambiato niente. Vorrei..”,

“L’hai rivista? In questi giorni?”,

“Si”,

“Beato te. Io Marco non lo rivedrò più”,

“Se lo avessi rivisto, cosa gli avresti detto?”,

“Che importa ormai...”,

 “Se tu parlassi con lei, cosa le diresti?”,

“Che non l’ho mai dimenticata. E …”,

 “Perché non parli con lei?”,

“Ora basta con il passato…”,

“E se nel frattempo ti innamorassi di me?”, non so nemmeno io come uscì quella domanda,

“E tu di me?”,

In silenzio, rimanemmo a lungo occhi negli occhi. Innamorati lo eravamo già.

Fuori dal caffè era buio e l’aria si era fatta più fredda. Il termometro era sceso sotto lo zero. Zaffate fredde ci colpivano il viso mentre camminavamo vicini nelle strade strette del centro storico fiaccole e lumini sui marciapiede avevano trasformato nella via per Betlemme.

Mi cinse le spalle e delicatamente mi strinse. Lo strinsi alla vita. Forte. Lui era la mia seconda occasione. Non l’avrei sprecata. Il ricordo di Marco si attenuò, fino a sfocare. Rimanemmo allacciati senza parlare fino alla macchina. Mi propose di cenare insieme in un piccolo ristorante, con cucina tradizionale piemontese. Non dissi che lì ci andavo con Marco e lui aveva smesso di pensare a lei. A tratti mi sentivo felice. Volevo che quella serata non finisse mai. Sotto casa mia, scese dall’auto per salutarmi. Lo invitai a salire, ma rifiutò. Mi abbracciò e le bocche quasi si sfiorarono, si scostò e mi baciò sulla guancia. Lasciandomi sconcertata.

Il sonno latitava. Presi un libro, leggevo la prima riga e lo chiudevo. Pensavo a lui. Mi chiedevo se anche lui stesse pensando a me. Mi avvicinai alla finestra. Avevo le vertigini. Tirai su la tapparella e rimasi a guardare la notte. Le stelle che prima riempivano il cielo ora erano appannate dalle nuvole, le luci della città erano smorzate, lo smog sovrastava la città come un’aureola di fango. L’ansia mi divorava. Mi sforzai di non cedere al sonnifero e allo cherry. Rimasi alla finestra finché il cielo cambiò colore. Il blu intenso sbiadiva. Era l’alba.

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