martedì 2 settembre 2014

1 SETTEMBRE 2014

Infine...


CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE
L'ultimo quarantennio e i tentativi di normalizzazione

La fine delle guerre arabo-israeliane avviò un timido e incerto progresso di normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e alcuni dei paesi limitrofi, spesso vanificato da irrigidimenti e da nuove crisi. Nel novembre del 1977 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt si reca in visita a Gerusalemme, avviando di fatto il processo di pace tra Egitto e Israele.
Nel 1978 l'invasione del sud del Libano da parte dell'esercito israeliano indusse l'Onu a creare una zona cuscinetto, tra i due paesi, presidiata dai "caschi blu".
Nel 1979, dopo lunghe trattative facilitate dagli Accordi di Camp David, settembre 1978, Israele ed Egitto firmano un trattato di pace, il primo tra Israele e uno stato Arabo, che comporta la restituzione all'Egitto della penisola del Sinai e il riconoscimento dello stato di Israele.
Nel 1980, Israele dichiarò Gerusalemme unificata come unica capitale dello Stato ebraico per poi annettersi l'anno successivo le alture del Golan siriano già occupate.
Il 6 ottobre 1981 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt, Premio Nobel per la Pace con Menachem Begin, viene assassinato, durante una parata militare, da estremisti arabi membri dell'Organizzazione Jihād islamica egiziana di Shukrī Muṣṭafā, un fuoruscito del movimento dei Fratelli Musulmani, da lui ritenuti troppo "moderati".
Nel 1982, Israele avviò l'operazione "Pace in Galilea", che prevedeva la creazione di una zona priva di insediamenti palestinesi attorno ai confini settentrionali israeliani, con l'obiettivo della distruzione definitiva dell'Olp.
Nell'ambito di tale operazione Israele invase il Libano spingendosi fino a Beirut, costringendo l'Olp a trasferire la propria sede in Tunisia. Nel quadro di questa azione militare si ebbero i massacri dei campi profughi beirutini di Sabra e Shatila, perpetrati dal maronita Elie Hobeika e dalle forze filo-israeliane del cosiddetto Esercito del Sud-Libano. L'inerzia delle forze israeliane che erano responsabili della sicurezza di quelle aree e che erano a conoscenza di quanto stava avvenendo nei campi profughi, in cui si contarono da 800 a 2.000 civili trucidati, provocò una severa inchiesta da parte della Corte Suprema in Israele. Essa si concluse con le dimissioni forzate di Ariel Sharon dalla carica di Ministro della Guerra e col dimissionamento del Capo di Stato Maggiore israeliano e del responsabile militare israeliano delle operazioni in Libano.
Nel frattempo l'Onu, che accusava Israele di violare i diritti umani nei confronti dei Palestinesi, formò una commissione di indagine perché vigilasse sul problema dei mezzi coercitivi messi in atto nei confronti degli Arabi affinché abbandonassero le loro terre, come pure sulle disposizioni israeliane in materia di gestione delle risorse idriche dell'intera area a settentrione dello Stato ebraico e sulla distruzione di abitazioni arabe da parte dell'esercito israeliano.
Per lungo tempo l'Olp rifiutò di assumere come base per il dialogo la risoluzione 242 dell'Onu, che prevedeva il ritorno ai confini di prima della "guerra dei sei giorni", legittimando così le conquiste territoriali israeliane del 1948-1949, finché nel 1988 la sua linea si ammorbidì consentendo l'avvio di un cauto e non sempre coerente avvicinamento fra le opposte posizioni.
Nel frattempo, nel 1987, era cominciato un moto popolare di sollevazione chiamato Intifada, in arabo "brivido, scossa", che tentava di combattere l'occupazione israeliana dei Territori Occupati per mezzo di scioperi e disobbedienza civile, oltre a ricorrere a strumenti di lotta volutamente primitivi quali il lancio di pietre contro l'esercito invasore, suscitando così grande impressione nel mondo occidentale.
Sempre in questo periodo, però, gruppi estremisti di matrice islamica tradizionalista che non si riconoscevano nell'Olp si organizzarono trovando come punto di riferimento il movimento Hamas, nato a Gaza nel 1987, che, pur limitando la sua azione al quadro strettamente palestinese, con l'impiego di tecniche di lotta terroristica, decisamente alternativa rispetto a quella più diplomatica dell'Olp, è riuscito a erodere parte del consenso fin lì goduto dalla "laica" Olp.
Nel 1993, ci fu a Washington un importante vertice di pace tra lo Stato Israeliano e l'Olp, riconosciuta finalmente come unica rappresentante del popolo palestinese, mediato dallo stesso presidente Usa, Bill Clinton. In esso si giunse a un accordo in base al quale Israele si sarebbe ritirata dalla striscia di Gaza entro il 1994, lasciando quei territori sotto la guida palestinese. I termini dell'accordo si rivelarono in ultima analisi molto ambigui, tanto che gli scontri ben presto ripresero.
Nel 1995, il premier laburista israeliano Yitzhak Rabin, premio Nobel con Arafat e Shimon Peres, per aver sottoscritto gli storici Accordi di Oslo con l'Olp, venne ucciso da Yigal Amir, esponente dell'estrema destra religiosa israeliana.
Questo provocò grande impressione nell'opinione pubblica israeliana, tanto da spingere il nuovo premier del Likud, Benjamin Netanyahu, a stringere un nuovo accordo con l'Olp, che prevedeva l'apertura di un aeroporto a Gaza e la liberazione di vari prigionieri politici palestinesi, sempre grazie alla mediazione del presidente Usa, Bill Clinton. Tuttavia le tensioni tra le parti non finirono.
La prosecuzione della politica di creazione di nuovi insediamenti agricoli israeliani nei Territori Occupati non si arrestò e a nulla servì che gli Israeliani, spaventati dagli attacchi terroristici arabi, facessero vincere il partito laburista del Mapam di Ehud Barak.
Questi infatti, in un nuovo vertice per la pace a Washington, non riuscì a convincere con le sue proposte il suo antagonista Arafat sui termini della pace e le trattative conobbero così un cocente fallimento.
Nell'ultimo periodo, la nuova strategia di Hamas di ricorrere ad attentati suicidi contro i civili ebrei ha ulteriormente acuito la tensione, facendo irrigidire le posizioni degli Israeliani e questo sentimento ha trovato una facile sponda nell'amministrazione statunitense, tradizionalmente predisposta a condividere le tesi israeliane.
La morte del leader dell'Olp, Arafat (primavera 2004) e l'elezione del suo successore Mahmūd ʿAbbās, Abū Māzen, hanno portato, tra innumerevoli azioni di guerriglia e di contro-guerriglia, di attentati terroristici palestinesi e di "uccisioni mirate" e dure ritorsioni israeliane contro civili palestinesi, allo sgombero, unilateralmente disposto nel 2005 dal premier israeliano Ariel Sharon, della Striscia di Gaza, consegnata in novembre all'Autorità Nazionale Palestinese, sui cui valichi è stata chiamata a vigilare una forza di polizia della Comunità Europea.
Il 16 luglio 2007 il presidente americano, George W.Bush, annuncia l'intenzione di convocare una conferenza internazionale a sostegno della soluzione a due stati del conflitto. La conferenza si tenne ad Annapolis il 27 novembre 2007, preceduta da intensi negoziati condotti dal segretario di stato Condoleeza Rice. Intervennero 49 delegati, compresi i rappresentanti delle nazioni del G8 e i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Parteciparono molti membri della Lega araba, Algeria, Bahrein, Egitto, Giordania, Libano, Marocco, Qatar, Arabia Saudita, Sudan, Siria, Tunisia e Yemen. Parteciparono anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, il rappresentante ufficiale del Quartetto, Tony Blair, oltre allo stesso Bush. Le delegazioni israeliana e palestinese erano guidate dal premier israeliano Olmert e dal leader dell'Olp Mahmūd ʿAbbās. Al termine il presidente Bush lesse una dichiarazione congiunta di Israele e Olp, le quali concordavano sull'intenzione di compiere ogni sforzo per raggiungere un accordo entro la fine del 2008 e di mettere in pratica gli impegni assunti con la roadmap del 2003 in direzione di una soluzione che prevedeva la costituzione di due stati.
Nel 2013, Israele prosegue la politica degli insediamenti civili, da sempre fonte di tensioni con la popolazione araba. Viene dato il via libera alla costruzione di 90 nuovi insediamenti vicino a Ramallah.
L'estate del 2014 segna un acuirsi del conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. Il 12 giugno di quest'anno tre ragazzi israeliani, Eyal Yifrah, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel, che facevano l'autostop nei pressi di Hebron, vengono rapiti e ritrovati morti il successivo 30 giugno a poca distanza dal luogo del rapimento. Il governo israeliano presieduto da Benjamin Netanyahu accusa subito i militanti di Hamas di aver eseguito il rapimento e l'uccisione. Dal canto suo, uno dei leader di Hamas, Khaled Meshaal, intervistato da Al Jazeera, pur dichiarando di non sapere a chi attribuire l'azione, si "congratula", mettendola in relazione con la situazione dei prigionieri palestinesi. Il 21 agosto successivo arriverà la prima rivendicazione formale dell'uccisione dei tre ragazzi da parte di un altro leader di Hamas, Salah Arouri. L'8 luglio, Israele dà inizio all'operazione Protective Edge, con l'obiettivo di arrestare i lanci di razzi da parte di Hamas e di distruggere i tunnel utilizzati dai combattenti palestinesi per raggiungere i kibbutz israeliani nella Striscia di Gaza. L'operazione Protective Edge andrà avanti per i mesi di luglio e agosto sinché, il 26 agosto 2014, il capo negoziatore di Hamas al Cairo, Moussa Abu Marzouk, annuncia il raggiungimento di una tregua duratura con Israele. Anche Abu Mazen, presidente dell'Anp conferma il raggiungimento dell'accordo di tregua al Cairo. L'annuncio della tregua arriva dopo 51 giorni di guerra che hanno causato 2.136 morti tra i palestinesi, la gran parte civili, compresi quasi 500 bambini, e 69 tra gli israeliani, di cui 64 militari, e oltre 11.000 feriti.


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