martedì 24 novembre 2015

Qui Italia Puntata 1: la Povertà è un Problema che sta crescendo

Quando si parla di povertà assoluta si fa riferimento all'idea della semplice sopravvivenza o a quella di un livello di vita ritenuto minimo accettabile. Nel primo caso povertà è quasi sinonimo di "miseria nera", di quella situazione cioè nella quale la carenza di risorse a disposizione dell'individuo è così profonda che la sua stessa vita è messa in pericolo o, è condotta in condizioni disperate. Questa accezione di povertà è spesso usata con riferimento ad alcuni Paesi in via di sviluppo (o regioni particolarmente svantaggiate), così come per quei casi di povertà estrema che si possono anche riscontrare ai margini delle ricche società industriali.
Sempre alla povertà assoluta ci si richiama anche in un secondo caso, quando invece che alla mera sopravvivenza si fa riferimento ad uno standard di vita che viene ritenuto "minimo accettabile". In questo caso per discriminare i poveri dai non poveri si definisce un insieme di bisogni ritenuti essenziali e le risorse che ne permettono un soddisfacimento minimo; le persone (o le famiglie) che non dispongono di questo minimo di risorse vengono qualificate come povere. I bisogni che più spesso vengono identificati come essenziali sono l'alimentazione, l'alloggio, il vestiario, la salute e l'igiene (talvolta si aggiunge anche la vita di relazione). A questa lista di bisogni si affianca una lista di consumi che ne permettono il minimo soddisfacimento, tramutando poi i consumi, attraverso i prezzi di mercato, nella somma di denaro necessaria. Si ottiene così una soglia di reddito minimo che stabilisce il "confine della povertà".
Questo stesso metodo è stato usato per dividere i paesi del mondo in ricchi e più o meno poveri.
Questa concezione della povertà - qualificata come "assoluta" e quindi legata a necessità fisiologiche di base - si ricollega a concetti quali i bisogni primari, il minimo vitale, il fabbisogno nutrizionale minimo, la disponibilità di beni e servizi essenziali per la sopravvivenza. In sostanza è "assoluta" in quanto prescinde dagli standard di vita prevalenti all'interno della comunità di riferimento.
I limiti di questo concetto sono molti. Non è infatti facile stabilire, in primo luogo, l'ammontare minimo di consumi che garantisce la sopravvivenza (l'uomo potrebbe accontentarsi di un piatto di fave al giorno, ma non è detto che poi esso sia sufficiente dal punto di vista nutrizionale); in secondo luogo, la definizione di un livello di vita minimo accettabile comporta il riferimento ad una data situazione storica, ambientale e sociale: ciò che viene ritenuto "minimo accettabile" oggi in Italia è molto superiore non solo al minimo accettabile di un secolo fa ma anche al minimo di qualche paese povero dell'America latina.
Il riferirsi ad una concezione della povertà intesa come fenomeno relativo permette di superare questi inconvenienti e di disporre di una definizione più aderente alla realtà. Già le considerazioni appena svolte mettono in evidenza il fatto che non è possibile quantificare un'unica soglia di povertà che possa essere utilizzata in situazioni storico-sociali diverse.
La ragione di questa impossibilità sta nel fatto che la vita sociale è essenzialmente una vita di relazione, di rapporti tra persone e gruppi. La posizione che ciascuno ha nella struttura sociale assume significato solo se è considerata in relazione alle posizioni degli altri: non si può dire ciò che si ha e ciò che si è se non tenendo conto dell'intorno sociale con il quale si interagisce. Si ha e si è più o meno degl'altri non in assoluto.

In puntata molto di più...

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